Se la decarbonizzazione è il proposito dell’umanità per la salvaguardia del pianeta, produrre energia pulita grazie alla fusione nucleare è il prossimo step.
Il Sole, ad esempio, è un reattore nucleare naturale i cui processi generano calore, luce ed energia.
“Farcelo in casa” potrebbe essere la soluzione.

 

Come funziona la fusione nucleare

Si parla di fusione nucleare quando due nuclei atomici di elementi leggeri (ad esempio deuterio e trizio, due isotopi dell’idrogeno) si avvicinano fino a fondersi; tale amalgama origina il nucleo di un elemento più pesante, l’elio, e un neutrone libero.
Il problema è che per far sì che la fusione avvenga occorrono temperature elevatissime.
In laboratorio ci si è riusciti, ma la strada per lo sfruttamento energetico sulla Terra è ancora lunga.

 

Perché la decarbonizzazione con l’energia delle stelle sarebbe una svolta

Innanzitutto perché, con una singola fusione, si produrrebbe una quantità di energia pari a 17,6 Megaelettonvolt (MeV); secondariamente perché, al contrario della fusione nucleare che produce scorie radioattive, si tratterebbe di energia pulita e potenzialmente illimitata.
Le scorte d’idrogeno sul nostro pianeta sono copiose, basti pensare ai mari.

 Secondo il ministro della Transizione ecologica Cingolani, sì: «La vera fonte energetica universale saranno le stelle». In effetti, se si considera che da 1 litro di acqua è possibile estrarre 33 mg di deuterio e da 5 g di litio 50 mg di trizio, fondendo insieme queste quantità si potrebbe generare una un’energia pari a quella ottenibile dalla combustione di 360 litri di benzina.

E le scorie radioattive?

Per quanto riguarda le scorie radioattive, circa il 90% di quelle derivanti dalla fusione nucleare ha una radioattività bassissima con tempi di decadimento dimezzati rispetto a quelle della fissione nucleare che – ricordiamo – consiste nella scissione di atomi di uranio-235 o plutonio-239, due elementi pesanti.

E gli incidenti?

In merito agli incidenti, il rischio è ridimensionato: i prototipi dei reattori nucleari a fusione, al contrario di quelli a scissione, hanno la tendenza a raffreddarsi più che a surriscaldarsi.
Ciò limita il rischio di fusioni incontrollate e, quindi, di possibili esplosioni.

 

Gli ostacoli della decarbonizzazione

L’ostacolo maggiore della decarbonizzazione, probabilmente, è che per avvicinare deuterio e trizio sono necessarie temperature elevatissime, pari o superiori a 100 milioni di gradi Celsius.
Un secondo problema è poi rappresentato dal fatto che per immagazzinare energia derivante dalla fusione bisogna innescare una reazione a catena controllata in grado di coinvolgere altri nuclei.

Il progetto ENEA 

In Italia, il programma di ricerca sulla fusione nucleare è coordinato dall’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile ENEA.
Negli ultimi 20 anni, i ricercatori ENEA hanno depositato oltre 50 brevetti e realizzato macchine innovative come il Frascati Tokamak Upgrade (FTU).
In più dalla ricerca sulla fusione sono nati studi sulla salute dell’uomo, la tutela dell’ambiente e la salvaguardia del patrimonio culturale.

Il progetto ITER

Il progetto ITER, acronimo di International Thermonuclear Experimental Reactor, ha per obiettivo la costruzione di un reattore termonucleare a fusione nel Sud della Francia, vicino alla città di Cadarache.
Il progetto, previsto per il 2040, è figlio di un accordo fra UE, Russia, Cina, Giappone, USA, India e Corea del Sud.

 

E dopo?

Dopo, probabilmente, occorrerà maggiore lungimiranza.
Se gli scienziati e i governi riusciranno nell’impresa d’imbrigliare l’energia delle stelle dovranno essere attuate politiche di transizione energetica e di decarbonizzazione adeguate: solo così, nel giro di qualche decade, verrebbero risolti i problemi di approvvigionamento energetico e con essi quelli legati all’ambiente.

 

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